Interinal sud side story

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Pubblico in questo blog un racconto integrale di Hotel Messico. Lo faccio perché riunisce le mie due grandi passioni i call center ed i loro problemi e una storia che un giorno potrebbe diventare un film. E poi l’autore è napoletano. E bravissimo.

Alla Adecco mi dissero che mi avrebbero fatto sapere in tempi brevi. In giro si diceva che la Omnitel a Pozzuoli cercava gente per Natale, per una nuova offerta, le telefonate schizzavano alle stelle e c’era bisogno di gente.

Tre mesi, cento giorni circa, una specie di grande fratello ma senza telecamere e con la nomination sicura. Lasciai il curriculum a una ragazza con il caschetto che aveva un cartellino con scritto Amanda. Mi disse che avevo i requisiti giusti per il call center. Avevo il raffreddore e le mie tasche erano piene di fazzoletti pietrificati verdi. Continuavo a chiedermi se il catarro potesse essere una malattia mortale. Una volta avevo sentito di una che era morta per una specie di polmonite e quando starnutiva gli usciva roba verde dalle narici. Seppi poi che si trattava di cancro ai polmoni e quella roba verde era la milza che si stava sciogliendo.

Quelli della Adecco furono di parola, dopo quattro giorni mi telefonarono a casa, era un gruppo di selezione della Omnitel e mi dissero che se volevo potevo partecipare alla selezione per delle assunzioni a tempo determinato. Era la prima cosa che ti dicevano. Non volevano che ti creassi delle illusioni, che avessi delle prospettive o comunque che ti organizzassi la vita. Erano eticamente corretti. Se ti andava bene, avevi ossigeno giusto per tre mesi. Tre mesi per poter rimandare la decomposizione del tuo corpo. L’aula era affollata di ragazze. Alcune sembravano uscite da bordelli talmente che erano vestite da zoccole. Tutte con le tette da fuori sperando di beccare un esaminatore maschio per guardarlo fisso negli occhi e fargli tirare il cazzo fino a farglielo diventare viola nelle mutande. Alcune avrebbero preferito sostenere esami orali. Perdonatemi la metafora. La maggior parte dei quiz che ci vennero proposti, erano gli stessi che ti davano al militare. Sequenze numeriche, riconoscimento di figure geometriche, analisi logica e grammaticale del periodo, algoritmi elementari che nascondevano verità interpretate da quelle menti aberrate degli psicologi aziendali. L’evoluzione di questi quiz si manifestava nella discussione.

Ti dividevano in piccoli gruppi di dieci persone e ti facevano esaminare una situazione di vita comune. A noi toccò l’ipotesi che un amico aveva trovato un buon lavoro e non l’aveva detto agli altri amici. Era un traditore? Lo faceva per la famiglia povera? Su queste ipotesi bisognava parlare e fare in modo che l’esaminatore si facesse un’idea sulla tua propensione a lavorare in gruppo. Chiaramente cercai di eliminare a priori le posizioni estreme. La verità era nel mezzo. Evitai di dire che era un figlio di puttana per come si era comportato con gli amici oppure che doveva essere riconoscente verso i genitori. Dovevo restare nel mezzo, anonimo fino a quanto si poteva. Alcuni litigarono pur di affermare le proprie posizioni e non vennero presi. Io e gli altri che davamo ragione sia all’amico tradito che alla famiglia venimmo assunti. Noi eravamo quello che la Omnitel cercava. Gente di mezzo. Democristiani che non prendeva mai una posizione. Gente che alla domanda :”preferisci un lavoro fisso per tutta la vita oppure cambiare lavoro secondo le tue capacità?” rispondesse la seconda. Ti chiedevano di prenderlo nel culo e di godere. Per farla breve il mio periodo di formazione alla Omnitel cominciò in Novembre. Lungo il viale che ci portava all’azienda, trovavi foglie morte di platani, preservativi e fazzoletti abbandonati. Probabilmente anche quelli erano test che facevano parte della selezione.

La formazione consisteva nell’insegnarci a usare due software, uno che serviva per la gestione delle telefonate, e l’altro che serviva per la gestione dei propri turni. Tuttavia la cosa che risultava più difficile era spostare quel mouse con la pallina intasata di capelli e schifezze. Spostavi il mouse a destra e la freccetta andava a sinistra, ti faceva venire i dubbi sulla tua coordinazione motoria. Il nostro gruppo di formazione era assortito, molti erano laureati, molte erano ragazze, molte erano carine. Ricapitolando: ragazze carine laureate. Eccetto io chiaramente. I nostri formatori sorridevano sempre. Facevano sempre un gesto in particolare, si portavano la mano al petto e con grazia le aprivano nella nostra direzione come se ci volessero irradiare con la loro energia. Avevamo a disposizione dieci giorni di formazione, per entrare nei turni giusto un paio di giorni prima che la Omnitel cominciasse la sua nuova offerta per Natale. Si trattava di una card che acquistata ti dava accesso a trecento messaggi e cento mms, quelli con le fotografie, e tu dovevi configurare i telefonini agli incapaci che ti chiamavano.

Non sembrava difficile. Io nel frattempo stavo creando delle solide relazioni interpersonali con un ragazzo che frequentava il mio stesso gruppo, avevo un braccio più corto dell’altro e si chiamava Maurizio. Io e Maurizio andavamo a mensa insieme. Ci davano dei ticket da esibire alla cassa e potevi mangiare il pollo, la cotoletta, il riso e prendere i succhi di frutti nel cartoncino. Maurizio mi disse di appartenere a un gruppo religioso che gli imponeva di non avere rapporti sessuali con le donne prima del matrimonio. Fu da quel momento che comincia a diffidare di lui. Diffidavo sempre di qualunque cosa che per qualunque motivo si privasse di rapporti sessuali prima del matrimonio. Comunque Maurizio che aveva un tasso di testosterone spaventoso, faceva commenti su tutte le donne che in mensa ci passavano davanti. Faceva allusioni sul modo di mangiare, sul modo di sporgersi per prendere il vassoio e sul modo di chinarsi per prendere il bicchierino di caffè dal distributore.

Fu alla mensa che vidi Giulia per la prima volta.

La vidi mentre metteva la coscetta di pollo con le patate nel vassoio. Maurizio disse che quella per sporgersi in quella maniera doveva sapere il fatto suo.

Nell’aula di formazione le ragazze erano tutte pratiche del computer, adoperavano il mouse con una certa sicurezza e aprivano e chiudevano programmi a fottere. Maurizio non aveva mai visto un computer e mi confessò che nel curriculum che aveva inviato aveva mentito. “Ieri ho visto una che si è collegata a internet” mi disse un giorno, “ma sono tutte laureate in ingegneria qua dentro?”. Maurizio comunque assimilò il funzionamento del mouse e venne iniziato ai piaceri del tasto destro e in pochi giorni si mise in carreggiata con il gruppo. Faceva progressi. Per conto mio imparavo tutto quello che gli istruttori mi dicevano. La tariffa x costa tanto e puoi chiamare da quest’ora a quest’ora, la tariffa y invece in quell’altra maniera. Non puoi mai dire ai clienti lo storico delle loro chiamate per ragioni di privacy, non puoi attivare delle promozioni a testa di cazzo, non puoi mai riagganciare il telefono prima del cliente qualunque cosa ti dica.

Di tanto in tanto vedevo la ragazza della coscetta di pollo e le patate alle postazioni. Aveva la cuffia con il filo attorcigliato tipo filo del telefono degli anni ottanta e per tutta il casermone del call center risuonava l’eco della violenza del suo battere sui tasti. Dopo quella breve formazione entrai nei turni.

Maurizio mi capitava di vederlo sempre meno spesso a causa dei turni diversi che ci vennero assegnati. Si lavorava dalle otto a mezzanotte e quando un turno finiva, entravano altre trecento persone a coprirlo. Nel capannone centrale, sulle nostre teste, pendeva un enorme cartellone luminoso che indicava le telefonate in coda. Quando quel numero sarebbe sceso sotto la soglia dei cinquanta, ci avrebbero sbattuto a calci fuori. Finche sarebbe rimasto sopra i centocinquanta ero in una botte di ferro. Queste furono le prime cose che mi insegnò Carlo, un interinale tra i più anziani alla Omnitel, era dentro da sei mesi ed era molto influente su alcune persone chiave alla Omnitel. Alla mensa, gli conservavano sempre il succo di frutta a pesca perché alla pera gli faceva schifo e una volta il guardiano gli aveva fatto parcheggiare nello spazio dei dipendenti Omnitel. Disse che non nutriva speranze. Poteva avere al massimo un altro contratto di sei mesi e poi fuori. Karma interinale. Mi disse di non fare amicizia con nessuno, di non parlare con nessuno. In quella stanza eravamo tutti malati terminali e la cuffia che avevamo alle orecchie era la nostra chemioterapia.

Il tabellone con le telefonate in coda misurava l’ampiezza delle nostre metastasi. Cercai di parlare il meno possibile con Carlo per vie delle sue metafore cliniche che mi spaventavano e con lo sguardo cercavo Maurizio che puntava sempre le tette o il culo di qualcuna. Al lavoro andavo benone. Attivavo servizi a fottere, chiunque mi chiamasse gli piazzavo centinaia di messaggi gratis nella scheda e a volte mi appuntavo il numero di telefono delle clienti più carine che chiamavano. Carlo mi disse che era una cosa che facevano tutti all’inizio e che non avrei mai richiamato quei numeri. In effetti fu proprio così. Io cercavo di sorridere al telefono, proprio come mi avevano detto i miei insegnanti alla formazione, perché dicevano che il cliente lo percepisce. Con certe clienti mi mettevo la mano sull’uccello sperando che loro lo percepissero.

Passò il primo mese.

Il numero delle al tabellone era alto a sufficienza per arrivare alla fine dei tre mesi e io, proprio come tutti gli interinali al loro primo mese, nutrivo speranza di restare fisso alla Omnitel. Carlo sosteneva che fosse un meccanismo naturale della mente, lo stesso che ti fa credere che quando sei giovane tu non debba mai morire. Poi però, alla fine muori sempre.

A casa la mattina mi preparavo il caffè ed ero felice. Non avevo mai visto tanti soldi in un solo stipendio. Mille e duecento quaranta euro più un centinaio di euro in ticket per la spesa con i negozi affiliati. Mettevo il caffè nella macchinetta e pensavo ai mille e duecento euro, lo versavo nel bicchiere e ci mettevo lo zucchero e pensavo ai mille e duecento euro, lo bevevo e guardavo lo zucchero che era rimasto sul fondo e sapevo che sarebbe finita presto.

Un giorno alla mensa mi feci coraggio e mi avvicinai alla brunetta della coscetta di pollo e patate che quel giorno però mangiava riso. Le chiesi se il posto era libero e lei mi disse si, le chiesi come si chiamava e lei mi disse Giulia. Ero gia innamorato di lei. Giuro. Le dissi che il mio contratto sarebbe scaduto dopo due mesi e le chiesi quando sarebbe scaduto il suo. Trattenne il respiro giusto per un secondo, per creare la giusta tensione drammatica e disse che lei era impiegata Omnitel a tempo indeterminato. Raccolse la sua vaschetta con il riso e andò via. Per capire che devi morire hai bisogno di conoscere un essere immortale.

La notte mi ronzavano in testa i numeri del cartellone delle telefonate in coda, sognavo di arrivare in ufficio e vedere il numero quarantasette sul cartellone perché quelli della Tim avevano fatto una promozione che ci rompeva le ossa e tutti gli interinali andavano a casa. Il contratto poteva essere strappato in ogni momento. Mi svegliavo e accendevo una sigaretta. Ritornavo alla mia macchinetta del caffè e mentre la imbottivo con il caffè Kimbo, comprato con i ticket resturant pensavo a Giulia che era a tempo indeterminato. Non poteva funzionare tra noi. Moderni Giulietta e Romeo. Divisi da più di uno stupido cognome di famiglia. Io determinato, lei indeterminato. Amore a tempo determinato.

I giorni seguenti furono giorni bui.

Il tabellone delle telefonate in coda era sempre su valori alti, talvolta ci chiedevano di fare delle ore di straordinario e tutto sembrava andare per il meglio, ma quando sei al secondo mese dei tuoi tre mesi di contratto senti già la puzza di putrefazione che proviene dalle tue carni. Carlo mi disse che era normale. La chiamavano sindrome del secondo mese alla Omnitel, alcuni ci avevano fatto una tesi di laurea sopra. Mi diceva che avrei fatto degli incubi con animali di piccole dimensioni tipo pipistrelli, topi, lucertole, ragni che mi mangiavano il cervello. Mi disse di non spaventarmi e che era normale. Maurizio era stato trasferito alle attivazioni dei video messaggi era in un altro reparto e non mi ero mai sentito solo come allora.

La clessidra del mio contratto aziendale stava ormai sparando i suoi ultimi granelli di sabbia nell’ampolla di sotto quando incontrai nuovamente Giulia alla mensa. Non avevo nulla da perdere e andai a sedermi sulla sedia libera alla sua destra. Mi salutò in maniera gioviale, sembrò sincera e mi parlò della difficoltà a configurare gli mms per il telefonino Nokia c54. Il software faceva schifo e la compatibilità con il nostro segnale era ridotta al minimo. Quelli del tecnico si davano da fare ma sembravano non trovare nessuna soluzione valida. Io cercavo di parlare della mia vita fuori dalla Omintel visto che presto mi sarebbe rimasta solo quella, Giulia invece non faceva altro che parlare di tariffe e problemi relativi alla Omnitel data la sua immortalità aziendale. In certi momenti sembrava che le spuntasse l’aureola dalla testa ed ero sicuro di sentire un odore di incenso che cospargeva la nostra area. Poi vennero al tavolo altre colleghe di Giulia. Erano tutte indeterminate. Una disse che doveva fare un cambio turno e che quelli alla direzione le avevano detto che le avrebbero trovato “un interinale qualunque” per il suo cambio turno. Giulia abbassò lo sguardo per l’imbarazzo. La ragazza diceva che aveva visto il nuovo gruppo degli interinali alla formazione e che più passava il tempo e più li assumevano stupidi. Diceva di aver visto un gruppo di ragazzi occhialuti che le sembravano tutti dei coglioni e che oramai le agenzie interinali raschiavano il fondo. Presi la mia vaschetta e andai via senza salutare. Giulia esitò qualche secondo poi mi venne dietro e mi afferrò per un braccio. Mi disse di non dare retta a quelle galline e che erano delle stupide. La ringraziai per quanto possibile delle belle parole e andai via alla mia postazione.

Il giorno seguente cominciò lo stillicidio.

Tutta la fila davanti a me era vuota. Erano almeno trenta posti. Erano trenta interinali che avevano cominciato qualche settimana prima del mio gruppo. Carlo mi disse che sarebbe successo e che era normale. La natura fa fuori gli animali più piccoli e quello che noi riteniamo un meccanismo feroce e crudele è in realtà il processo di continuità della specie. Non è il singolo individuo che conta, ma l’intera specie. Alcuni giorni dopo Carlo non venne. Non chiesi mai a nessuno della sua sorte. Si diceva che stavano girando le liste con quelli da fare fuori e Carlo doveva sicuramente essere in una di quelle. Durante gli ultimi giorni alla Omnitel andavo vestito in una maniera orrenda. Non mi lavavo i capelli e indossavo la stessa camicia per oltre una settimana. Carlo aveva previsto anche quello. Diceva che la chiamavano la consapevolezza della morte. Maurizio lo vidi di sfuggita alla mensa. Incrociammo lo sguardo da lontano senza dirci nulla. Eravamo silenziosamente contenti di essere ancora là. Anche lui aveva i capelli sporchi e la barba lunga. Aveva un maglione verde con un orso disegnato sopra. Anche lui era affetto dalla consapevolezza della morte.

Poi venne il mio giorno.

Alla fine del turno, un tizio dalla direzione ci venne a chiamare. Eravamo in otto. Lui camminava davanti e noi otto dietro. Tutti ci guardavano. Tutti avevano la testa abbassata in segno di rispetto per i condannati. Il miglio verde. Schindler list. Il pianista. Mi vennero in mente tutti questi film. Ci dissero di firmare una carta e di consegnare le cuffiette. Alcune ragazze cominciarono a piangere. Carlo aveva previsto anche questo.

La chiamavano la sindrome del distacco dell’anima dal corpo. In alcuni minuti ero fuori. Ero rilassato. Il destino si era compiuto. Lungo il vialetto che mi portava al parcheggio incrociavo degli zombi al loro primo mese. Erano tutti vestiti per bene, gli uomini rasati e le donne truccate. Io avevo un poco voglia di bestemmiare e un poco voglia di starmene in silenzio. Questo Carlo non poteva averlo previsto.

Arrivai alla macchina nel parcheggio degli interinali e trovai un bigliettino sotto le spazzole, “ciao disoccupato, chiamami presto, Giulia”. C’era il numero di un telefonino.

Era un numero della Tim.